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 Miei racconti brevi e poesie in prosa

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Alex88

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MessaggioTitolo: Miei racconti brevi e poesie in prosa   Miei racconti brevi e poesie in prosa Icon_minitimeSab Set 25, 2010 12:16 pm

Questo è uno degli ultimi racconti che ho scritto Very Happy

L’Omega

Omega si trovava nel solaio ormai da un’ora. In quel lasso di tempo aveva spazzato il pavimento di antico legno incurvato, spolverato gli scaffali e spostato mobilio in disuso con la testa bassa, per evitare di sbattere contro il basso soffitto a mansarda. Ora si accingeva ad ordinare vecchi scatoloni ammuffiti. Ve ne erano 5 o 6, ammucchiati uno sopra l’altro a ridosso della parete Nord della stanza odorosa di chiuso e naftalina. Non aveva idea di cosa contenessero, probabilmente album fotografici e vecchi suppellettili. Prese il primo e lo posò a terra vicino ai suoi piedi, quando si alzò di nuovo fu sorpreso di trovare una finestra tonda, simile ad un oblò, nello spazio lasciato vuoto dallo scatolone. Il vetro era opacizzato dalla polvere incrostata, così Omega si tolse dalla tasca posteriore dei pantaloni un vecchio panno stropicciato e strofinò energicamente fino a renderlo lucido. Quella finestra era sempre stata lì e non vi aveva mai guardato attraverso. Se pensava alla casa vista dall’esterno allora sì che gli sovveniva la visione di quel piccolo oblò appena sotto il bordo del tetto, ma mai una volta che avesse avuto modo di effettuare l’operazione inversa. Si affacciò e ciò che vide non lo sorprese affatto: si trattava soltanto del cortile della fattoria in cui viveva, anche se visto da una prospettiva inusuale. Era quasi l’ora di cena a giudicare dalle sfumature rossicce che tinteggiavano gli alberi. Continuò a spostare gli scatoloni da un angolo all’altro finche l’intera parete non fu sgombra. Quando si voltò non potè fare a meno di notare che tutti quegli scatoloni avevano in qualche modo intaccato il legno con cui si erano trovate a contatto per tanto tempo, scolorendolo.
Il suo lavoro nel solaio era terminato, poteva finalmente scendere e prepararsi qualcosa da mangiare. Quella sera sarebbe stato solo in casa, i suoi genitori erano partiti per una breve gita della durata di un weekend assieme ad altri amici del circolo di bridge. Fu preso, però, dall’impulso incontenibile di dare un’ultima occhiata oltre l’oblò e fu in quel momento, avanzando verso la finestra, che vide la botola. Era lì da sempre, esattamente come la finestra, sepolta sotto la catasta di scatoloni. Si trattava di una porticina di un metro per un metro, con una piccola maniglia d’ottone simile ad un batacchio. Ma dove diavolo portava? Tecnicamente in quel momento si trovava al di sopra della cucina, lì sotto non c’era che lo spazio tra un piano e l’altro! Fece immediatamente per aprirla ma fu bloccato da un grattare, come di unghie, che sembrava provenire proprio da sotto la botola. Rimase immobile, con una mano a pochi centimetri dalla maniglia. Udì prima un urlo soffocato e poi una risata lontana. Sbarrò gli occhi e arretrò velocemente inciampando sui suoi passi. Non ebbe il coraggio di rimettersi in piedi, si ritrovò dunque inginocchiato e tremante alla distanza di 4 o 5 passi dalla porta della botola, che ora sembrava vibrare leggermente. Doveva aprirla o fuggire a gambe levate, magari tornando la mattina successiva e ricoprendola di nuovo di scatoloni? Se anche se ne fosse andato non sarebbe mai riuscito a dormire con il pensiero di quella strana botola sopra la sua testa. Poi non si fidava a darle le spalle. Nel più realistico dei casi avrebbe potuto uscirne qualche animale selvatico rimasto incastrato là sotto dal peso degli scatoloni per solo Dio sa quanto tempo. No, lui l’avrebbe aperto, avrebbe constato che sotto quella porta vi era un solido e tangibile strato di cemento, poi sarebbe andato giù di sotto e si sarebbe fatto due risate ripensando alla paura provata nei riguardi di quella stupida botola.
Nonostante questi pensieri con cui cercava di rassicurarsi non riusciva a muoversi, l’atmosfera si faceva sempre più opprimente dentro il vecchio solaio. La luce naturale lentamente digradò fino a sparire, lasciando Omega da solo, con la fioca illuminazione della lampadina pendente dal basso soffitto, l’odore di muffa sempre più penetrante e uno strano calore umido che sembrava cingerlo in un soffocante abbraccio. Dagli interstizi delle doghe che costituivano l’accesso alla botola filtrava una strana luce, simile a quella emanata dai neon. Oh no, non riusciva proprio a muoversi. Poi fu la volta della luna,che si fece alta in cielo, fino ad estendere i suoi pallidi raggi all’interno della stanza attraverso la finestra ad oblò. Omega aveva lo stomaco che si contorceva a causa dell’appetito, non poteva rimanere lì fino a che non si fosse fatto giorno, si sentiva già svenire a causa della canicola e della fame. Eh sì, perché faceva caldo, fin troppo caldo per essere solo ai primi di maggio. Lui sapeva da dove proveniva quel calore: veniva dalla botola. La porticina vibrò ancora, con più veemenza stavolta. Da quanto si trovava lì dentro? Quattro ore, forse di più! Prese coraggio e si distese sul ventre, cominciando a strisciare, come un soldato in un esercitazione, sul legno dirigendosi verso la botola. Questa aveva smesso di vibrare, nessun suono proveniva da lì sotto. Si sedette di nuovo sui talloni, posò la mano sulla maniglia e, ignorando la vibrazione che ricevette, tirò con forza.
Fu investito da un forte fascio di luce e con esso fuoriuscirono le grida di mille generazioni disperate. Con gli occhi sbarrati osservava il Male in ogni sua forma strepitare al di sotto di lui, aveva aperto le porte dell’Inferno. Pensare che era sempre stato lì, ogni giorno della sua vita aveva avuto la Ghenna sopra la testa e ne era stato ignaro. Pendeva come una spada di Damocle sul suo capo da un’esistenza intera! Ma adesso che l’aveva scoperto non riusciva più a distogliere lo sguardo, era ributtante ed attraente allo stesso tempo. Era sapere di star osservando qualcosa di brutale e malvagio ma non riuscire a smettere proprio per il gusto finemente crudele che si provava nell’essere spettatori di tale sciarada. Ora Omega sapeva che c’era un’altra dimensione oltre la vita, che c’era l’orrore che attendeva in sordina dentro una fattoria in una contea desolata. Sapeva che avrebbe dovuto chiudere quella stramaledetta porticina ma non ci riusciva. Torture, assassini, perversità andavano avanti sotto i suoi occhi, perpetrati da esseri dalla pelle così sottile e gelatinosa da rendere possibile osservare le viscere di questi, e lui si sentiva stranamente eccitato da tutto ciò. L’Inferno non era rosso e fiammeggiante come glielo avevano descritto nelle lezioni di catechismo. Era, in realtà, una massa viola dove tutto avveniva a scatti, come se si stesse osservano una pellicola velocizzata. Questa per lo meno fu la definizione che gli balenò nella mente per un attimo. Ma c’era un elemento che a Omega era sfuggito inizialmente e che con profondo disgusto notò solo in seguito: quella massa violacea non erano pareti, si trattava dell’interno di un corpo in putrefazione. Era come mucosa tumefatta, che trasudava saliva e si muoveva spasmodicamente. Ebbe un contato di vomito. Quello che stava osservando era l’interno di un corpo decadente. L’eccitazione prima provata scomparve e lasciò lo spazio al senso di colpa e al terrore puro, gli occhi cominciarono ad appannarsi a causa del pianto incipiente. Gli esseri grotteschi che si divincolavano sotto i suoi occhi proseguivano nelle loro aberranti attività, le urla acute si espandevano eternamente in quell’aria malsana, unghie torte affondavano nella muscosa contratta da spasmi, l’odore di muffa era stato soverchiato da quello di marcescenza , il caldo insopportabile, lacerazioni, grida, follia, frustate, pianto e stridore di denti. Omega era sopraffatto da un tale crescendo di mostruosità. Una lacrima sgorgò dagli occhi, rigò il viso, tentennò sulla punta del naso e poi si gettò nell’abisso. Una mano grigia e gonfia spuntò emergendo dal fondo degli Inferi e la raccolse. Omega aveva aperto il vaso di Pandora. I demoni guardarono all’insù in uno scatto repentino, fu uno scricchiolio di articolazioni irrigidite. Spiccarono poi il volo verso l’alto e quello strano organismo pulsante li seguì. Coprirono il solaio, la casa, la fattoria, poi la contea e eclissarono il sole. La mucosa violacea corruppe ogni cosa e infine l’Inferno brulicò su Gaia.


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